La musica per il suo potere incantatorio e per il suo fascino misterioso è sempre stata oggetto di molteplici riflessioni da parte dei filosofi.
Alla tradizione pitagorica, a cui in parte si rifaceva anche Platone, va fatta risalire l’interpretazione della musica come immagine dell’armonia naturale dell’universo, percepibile attraverso i rapporti numericamente esprimibili tra i diversi suoni.
A tale concezione, che peraltro ritorna sia in Leibniz sia nel XVIII sec. in G.P. Rameau, e alla distinzione già di Boezio, come opportunamente rileva Enrico Fubini, tra “musica humana” e “musica mundana”, si sostituisce nel ‘700 il concetto della musica come linguaggio diretto delle passioni.
Per il pensatore J. B. Dubos e per Diderot la musica si richiama non già all’armonia universale, ma alla struttura profonda del nostro essere e della natura in rapporto “ con la cosmica vitalità che anima l’intero mondo naturale” Del pari in Rousseau vi è una presa di posizione contro quella che egli definisce la musica artificiosa della modernità, che avrebbe favorito la razionalizzazione della musica attraverso lo sviluppo della tecnica, allontanandola dalle sue origini di espressione primigenia dell’uomo non ancora corrotto dalla civiltà.
Con l’affermarsi dell’estetica moderna come studio dell’arte e del bello, la posizione della musica nei confronti delle altre arti si fa particolarmente problematica per la sua specificità. In genere si può però dire che, a partire da Kant, viene riconosciuto alla musica un linguaggio particolare e tale da distinguerla dalle arti sorelle.
La musica appartiene per Kant all’arte del gioco delle sensazioni per l’attrattiva e le emozioni che essa esercita e quindi viene dopo la poesia che, esibendo il concetto, eleva alle idee. Essa è inferiore anche alle arti figurative,che, pur giocando con le sensazioni, producono impressioni durevoli recepibili dall’intelletto.
Sempre per Kant la musica gode però di una particolarità, quella di utilizzare la modulazione, come linguaggio degli affetti così che essa“secondo la legge dell’associazione, comunica universalmente le idee estetiche che vi sono naturalmente congiunte”. La musica è dotata quindi di un linguaggio universale comprensibile da ogni uomo.
Per gli autori romantici la musica non si limita al piano della sensibilità, ma coglie la realtà stessa nella sua configurazione più autentica.
Per Hegel essa ci pone a contatto con le strutture prime della natura e della nostra coscienza. Essa segna il passaggio tra le arti più prossime all’utilizzo del materiale sensibile come l’architettura, la scultura e la pittura e la spiritualità della prima tra le arti, la poesia.
Musica e poesia hanno in comune il suono, ma la musica non fa riferimento ad alcun testo determinato perché il suo compito è quello di rendere ogni contenuto non quale si trova nella coscienza come rappresentazione generale, “ma quale diviene vivo nella sfera dell’interiorità soggettiva” L’interiorità è quindi il carattere determinante della musica, che penetra in tutti gli aspetti dell’anima e si impossessa della coscienza .
Per Shelling la musica è l’arte che più si spoglia della corporeità perché essa fa intuire nel ritmo e nell’armonia la pura forma in quanto tale. Mentre la pittura fa apparire il corporeo nella superficie, la musica, come l’architettura, è inorganica ed incorporea, capace di far intuire i movimenti dei corpi celesti, e quindi di cogliere l’archetipo assoluto, sia pur senza risolverlo nella chiarezza della razionalità. Essa realizza quella fusione di finito e di infinito che è propria di ogni sintesi artistica.
Per Schopenhauer la musica non è come le altre arti “una riproduzione delle idee, ma una riproduzione della stessa volontà una oggettivazione allo stesso titolo che le idee”
Nella musica si oggettivano la volontà che è alle radici della vita e le aspirazioni coscienti dell’uomo. La melodia ci racconta “la storia della volontà illuminata dalla riflessione il cui manifestarsi nella realtà costituisce la serie degli atti umani”. Essa però non esprime il fenomeno, ma l’essenza e l’in sé di ogni fenomeno, la quintessenza della vita, l’elemento metafisico del mondo fisico. Essa ci dà “l’intimo nocciolo che precede ogni formazione, il cuore delle cose” Da ciò deriva la sua universalità, privilegio esclusivo che le conferisce un alto valore.
Anche per Nietzsche la musica è manifestazione della natura primigenia, eternamente creatrice di cui il dionisiaco è espressione e a cui essa ci riporta. Essa è diversa da tutte le altre arti perché non è immagine dell’apparenza “ bensì immediatamente immagine della volontà stessa e rappresenta, dunque, rispetto a ogni fisica del mondo, la metafisica, e rispetto ad ogni apparenza, la cosa in sé”
In tutti questi autori romantici la musica non è quindi solo, come per Kant, un gioco di sensazioni, ma ha come scopo supremo la profonda e vera conoscenza della natura del mondo. Essa è arte privilegiata perché, a differenza delle arti visive, non richiede un rimando alla realtà esterna, ma ancor più della poesia, che ricorre al concetto, attraverso l’indeterminatezza del suono ci immette immediatamente nell’interiorità ove si manifesta il mistero dell’essere.
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